Notule

 

 

(A cura di LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XXII – 08 marzo 2025.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: BREVI INFORMAZIONI]

 

Coscienza nel coma: sembra possibile identificarla senza ricorrere agli indici di Tononi e Massimini. Jan Claassen della Columbia University e colleghi, in un nuovo studio che sarà pubblicato su Nature Medicine, studiando i tracciati EEG di 226 pazienti in coma per danno cerebrale recente, hanno individuato nella presenza dei “fusi del sonno” un indice di alta probabilità di recupero della coscienza e dell’indipendenza funzionale. Il 76% dei pazienti comatosi con fusi del sonno e dissociazione motoria cognitiva ha poi presentato segni di coscienza, contro il 29% dei pazienti senza nessuno dei due indici. Naturalmente è necessario proseguire le valutazioni analitiche, anche se si può concordare con gli autori che, su questa base, si possono migliorare le condizioni favorenti il “sonno” dei pazienti in coma nelle unità di terapia intensiva, se non altro per verificare se il segno dei fusi del sonno è solo spontaneo in questi casi o è anche inducibile. [Cfr. Nature Medicine – AOP doi: 10.1038/s41591-025-03578-x, 2025].

 

Sclerosi Multipla: rivelati segni precocissimi con una mappa cerebrale nel marmoset. Daniel S. Reich e colleghi del NINDS hanno realizzato un nuovo modello sperimentale delle lesioni cerebrali della sclerosi multipla nel marmoset, una piccola e graziosa scimmia del nuovo mondo, con un encefalo più vicino al nostro, rispetto ai consueti modelli murini. Si tratta di una mappa quadridimensionale che rivela il modo in cui si formano le lesioni simili a quelle della patologia neurodegenerativa umana: i ricercatori hanno potuto rilevare mediante MRI il formarsi delle lesioni e tracciarne lo sviluppo in tempo reale. Gli astrociti esprimenti SERPINE1 possono contribuire sia alla progressione sia alla riparazione delle lesioni: queste cellule astrogliali sono all’origine dei segni precoci. I nuovi marker MRI precoci individuati precedevano di settimane la comparsa dei segni corrispondenti a quelli clinici attualmente rilevati per la diagnosi. [Cfr. Science – AOP doi: 10.1126/science.adp6325, 2025].

 

Sclerosi Multipla: aumentano le mutazioni somatiche dei neuroni nelle lesioni. È noto che la neuroinfiammazione è all’origine della neurodegenerazione e della progressione clinica nella sclerosi multipla, ma la conoscenza dei processi che collegano i meccanismi di questa patologia rimane incompleta. Allan Motyer e colleghi hanno indagato le varianti somatiche di singolo nucleotide (sSNV) nei genomi di 106 cellule nervose dal tessuto cerebrale post-mortem di 10 persone affette da sclerosi multipla e 16 controlli, per determinare la partecipazione della mutagenesi somatica. I risultati di questo studio suggeriscono che la neuroinfiammazione sia mutagenica nel cervello affetto da sclerosi multipla, potenzialmente contribuendo alla progressione della malattia [Cfr. Nature Neuroscience – AOP doi: 10.1038/s41593-025-01895-5].

 

L’attività motoria intensa previene demenza, ictus, ansia, depressione e disturbi del sonno. Analizzando i dati provenienti da dispositivi di monitoraggio portati sul corpo (accelerometri) da 73.411 volontari (età media 56 a.) di un campione nazionale del Regno Unito (UK), i ricercatori, che presenteranno il loro studio al 77° incontro annuale dell’American Academy of Neurology, hanno rilevato che le persone con il più alto livello di attività motoria presentavano una probabilità dal 14% al 40% minore di sviluppare demenza, ictus, ansia, depressione e disturbi del sonno. Il tempo trascorso seduti accresceva il rischio generale di queste neuropatologie dal 5% al 54%.

Osserviamo, a commento, che questi dati sono più affidabili di quelli ottenuti da self-report, ma il disegno dello studio non segue gli standard cui siamo abituati, che consentono di dedurre rapporti proporzionali tra l’entità del lavoro e la percentuale di riduzione del rischio. [Fonte: Renee Tessman – 77th Annual Meeting of American Academy of Neurology, 2025].

 

Ippocampo umano: profilo specifico dei circuiti e differenze con l’ippocampo murino. La maggior parte delle nozioni di neurofisiologia dei circuiti ippocampali di cui disponiamo e su cui basiamo i nostri ragionamenti deriva da mezzo secolo di ricerca sulle specie murine e, sebbene si abbiano alcuni dati specifici sulle funzioni delle regioni del nostro ippocampo, ordinariamente si assume che le differenze tra topo e uomo non siano significative. Darran Yates, prendendo le mosse da uno studio di Watson e colleghi su tessuto ippocampale di pazienti epilettici sottoposti a intervento neurochirurgico, che rivela specifici elementi dei circuiti della regione CA3 dell’ippocampo umano, fa il punto delle conoscenze su similitudini, equivalenze e differenze. Una rassegna che consigliamo vivamente a ricercatori e studiosi di tutte le discipline neurobiologiche. [Cfr. Nature Review Neuroscience – AOP doi: 10.1038/s41583-025-00907-4, 2025].

 

Un giovane delfino è piombato su una barca da pesca rompendo tutte le canne e altro. Lo scorso mercoledì 5 marzo 2025, al caldo sole dell’estate australe vicino alla costa nord della North Island della Nuova Zelanda, tre pescatori diportisti si godevano nella loro piccola imbarcazione la piacevole traversata di un mare turchese e cobalto, quando d’improvviso è balzato un delfino di circa mezza tonnellata, cadendo di schianto nella loro barca. Dean Harrison, uno degli uomini a bordo ha commentato: “This one decided to jump on board and say: hello!”. Uno solo dei tre uomini è rimasto contuso a un braccio e alla schiena, perché sfiorato dalla massa corporea del cetaceo, mentre gli altri due sono indenni, e la loro impressione è quella della frase scherzosa di Dean Harrison: questo giovane delfino sapeva perfettamente cosa stava facendo e ha deciso di farlo per qualche ragione. Sarà compito di etologi e biologi marini chiarire la possibile ragione di questo “abbordaggio”: “Visto che – come ha commentato una studiosa australiana del comportamento dei delfini – possiamo escludere che volesse giocare ai pirati con degli sconosciuti”. [Fonte: Dean Harrison on Animal News – NBC News, March 5th, 2025].

 

Scoperta nell’uccello lira una straordinaria abilità nascosta che ha dell’incredibile. Il lyrebird o uccello lira australiano, conosciuto per la meravigliosa coda a forma di lira del maschio, è un volatile canoro di dimensioni ragguardevoli, potendo raggiungere il metro di lunghezza, a dispetto dell’appartenenza all’Ordine dei Passeriformi; è classificato nella Famiglia delle Menuridae per il Genere Menura, che conta solo due specie: Menura alberti e Menura novaehollandiae. È un uccello schivo, che spesso si nasconde nelle tane dei vombati (Vombatus ursinus), marsupiali australiani molto ospitali. Alex Maisey e colleghi della La Trobe University, in un nuovo studio pubblicato sul Journal of Animal Ecology, hanno documentato la straordinaria attività di esemplari di Menura novaehollandiae nel folto delle foreste di eucalipti del sudest australiano.

Gli uccelli creano sul terreno della foresta dei veri e propri microhabitat, caratterizzati da letti di foglie in spazi di materiale terroso circoscritti e protetti, dove ospitano in abbondanza vermi, ragni, millepiedi e altre potenziali prede, che riforniscono di cibo, facendole ingrassare fino a quando ritengono di potersene cibare.

Anche se finora questa condotta era ignorata, non si tratta affatto di un comportamento sporadico e limitato. Una volta scoperti questi “allevamenti di insetti e anellidi per fini alimentari” degli uccelli lira, i ricercatori ne hanno studiato tutte le caratteristiche, giungendo alla conclusione che si tratta di un’attività di grande impatto sull’ecosistema della foresta pluviale australiana, in grado di proteggere e conservare la biodiversità e, per una concatenazione di ragioni, capace di limitare gli incendi boschivi. [Cfr. Journal of Animal Ecology – AOP doi: 10.1111/1365-2656.70009, 2025].

 

Come è possibile che nell’isola di Sado sette specie di serpenti coesistano avendo le stesse prede? Se si eccettua l’arcipelago subtropicale di Ryukyu, l’isola giapponese di Sado annovera il massimo numero di specie di serpenti (7) in un territorio circoscritto, costituendo un’eccezione difficile da spiegare seguendo la ratio ecologica ed evoluzionistica consueta. Ricercatori dell’Università di Tsukuba hanno posto in essere un progetto di 5 anni di “osservazione sul campo” dell’ecologia di ciascuna delle sette specie, e analizzando ogni dettaglio.

La ripartizione della nicchia è uno dei concetti ecologici basilari adottati per spiegare come è possibile la coesistenza di organismi differenti, e consente di valutare le differenze fra le specie nell’accesso a risorse quali il tempo di attività, la localizzazione (ubicazione) e il tipo di preda. Nel caso dei serpenti, la ripartizione di nicchia delle prede rappresenta il maggior ostacolo alla coesistenza di più specie, anche se qualche eccezione è dovuta al differente tempo di presenza nel luogo topico e alla sede di attività. Questo nuovo studio sull’isola di Sado ha identificato: 1) complementarietà di nicchia tra specie diverse; 2) considerevole sovrapposizione per le risorse di cibo, ma 3) riduzione della sovrapposizione per la scelta dell’habitat, gli orari diversi dell’attività predatoria e differenze nei comportamenti stagionali.

Gli autori hanno dunque scoperto che la coesistenza di 7 specie di serpenti è possibile grazie a una ripartizione multidimensionale della nicchia, in cui un’alta sovrapposizione in una dimensione è compensata da una bassa sovrapposizione in un’altra dimensione. L’evoluzione ha dunque accentuato, per influenza selettiva sul sistema nervoso dei rettili, le differenze di abitudini che consentono la coesistenza. [Cfr. Journal of Zoology – AOP doi: 10.1111/jzo.13259, 2025].

 

Dai costumi alimentari medievali alla nascita del lessico della cucina italiana: Proseguiamo nei nostri appunti di storia della cucina per sensibilizzare circa la necessità di ritornare alla preparazione casalinga dei cibi, evitando i prodotti dell’industria alimentare (v. in Note e Notizie 15-02-25 Notule: I nuovi studi su microbioma intestinale e asse cervello-intestino evidenziano l’importanza dei costumi alimentari; Note e Notizie 22-02-25 Notule: Appunti e curiosità su abitudini alimentari e cucina presso i Romani antichi; Note e Notizie 01-03-25 Notule: Da Roma a Firenze: appunti di cucina medievale italiana prima del primo libro di cucina).

A quell’epoca si pensava al cibo nel suo stato d’origine naturale o, al massimo, nelle sue preparazioni casalinghe, che volevano dire cottura e aggiunta di salse e spezie. E si può dire che il rapporto con gli alimenti era parte del rapporto dell’uomo con la natura. I cuochi spesso coltivavano personalmente gli ortaggi che avrebbero portato in tavola e, fra loro, i più bravi nel cucinare la cacciagione erano cacciatori. Non rimpiangiamo certo quest’uso, noi che siamo avversi alla caccia, ma lo citiamo per sottolineare questa differenza con i nostri giorni, in cui l’industria alimentare ha invaso negozi, mercati, supermercati e dimensione immaginaria delle persone fin dalla prima infanzia. Un ortaggio particolarmente gradito era piantato – spesso dopo averlo ricevuto in dono o averne ottenuto i semi dal vicino d’orto[1] – era seguito nel tempo, curando la terra in modo da migliorarne il sapore, ed era protetto e, possiamo dire, “pregustato” fino al momento di mangiarlo. Oggi è difficile immaginare l’importanza che avevano le specie vegetali edule prima dell’epoca industriale della storia moderna. A Napoli si coltivava un’insalata dalle grandi foglie lunghe e tenerissime, dal sapore delicato e gradevole; per l’apprezzamento ricevuto dal Pontefice, si decise di farne dono al Papa, che la fece piantare nel suo giardino. Scomparsa da secoli nei luoghi originari, ora a Napoli è chiamata “la romana”.

L’importanza dei pasti e gli annessi valori simbolici erano bene espressi e radicati nella cultura antica imperante in epoca romana, e alcuni dei valori tradizionali legati al desco permangono quasi inalterati in epoca medievale, ma l’aspetto più interessante e affascinante di questi costumi consiste nei modi e nelle forme della transizione medievale dalla concezione pagana a quella cristiana.

Sorprendentemente, la distanza maggiore non consiste nell’importanza cristiana della vita ultraterrena inesistente nella visione pagana, in quanto nel tardo impero si era affermata la tendenza, negli auspici, negli auguri, nelle speranze e nell’arte, a credere in una prosecuzione della vita nell’aldilà, figurata proprio come perseveranza conviviale in tutto il mondo romano: “L’evoluzione dei costumi familiari si manifesta nell’organizzazione dei pasti, e questo fin nel momento della morte, come dimostra un mosaico funebre in cui una coppia banchetta nell’aldilà, secondo un cerimoniale identico a quanto accadeva in vita”[2]. La distanza maggiore è rappresentata dal valore, sia materiale sia simbolico, e dunque spirituale, di intendere carne e pesce.

Il pesce, uno dei simboli cristiani durante le persecuzioni, è il cibo dei poveri e il sostentamento durante i lunghi periodi di astinenza dalle carni, che simboleggiavano la “carne”, intesa come istintività non sottomessa a Dio e incline all’intemperanza e alla lussuria. Nel mondo romano il pesce esprime per eccellenza il lusso della tavola: “Si tratta, infatti, di un cibo costoso: l’editto di Diocleziano precisa che, in media, vale tre volte la carne: un’osservazione rafforzata, per un’epoca precedente, dalla formulazione di Apuleio sui «ghiottoni le cui ricchezze vengono inghiottite dai pescatori»”[3].

Si comprende che non fu affatto semplice per i convertiti al cristianesimo far comprendere ai pagani che, quello che era comunemente considerato il vanto della tavola e il segno di ostentazione di ricchezza del padrone di casa[4], fosse per loro cibo penitenziale, per mortificare la gola. Sembra che il veicolo maggiore della nuova concezione del valore degli alimenti sia consistito nell’allestimento di grandi mense per i poveri: le lunghe tavole imbandite come per i tradizionali banchetti romani, allestite esclusivamente per “dar da mangiare agli affamati”, e presso le quali, anziché esservi i servi triclinari, vi erano dei volenterosi diaconi, ossia laici addetti alle mense che spiegavano il valore materiale e simbolico dei cibi nella visione cristiana.

Nei secoli cristiani, anche se le prescrizioni della Chiesa in rapporto alle quattro tempora erano seguite alla lettera dalla massima parte degli abitanti delle città italiane, condizionando il costume alimentare e la nascita di tradizioni popolari legate a cibi e pasti, alcuni elementi culturali greco-romani erano sopravvissuti, costituendo piccole e numerose “eccezioni” o grandi e stridenti “contraddizioni” ancora presenti ai nostri giorni.

La difficile ricostruzione, da frammenti narrativi e brani epistolari, dei costumi alimentari per quell’arco di tempo che Francesco Petrarca denominò per primo “Medio Evo”, è stata in gran parte possibile grazie alla conoscenza delle ricette rinvenute in raccolte storiche che, oltre a riportare istruzioni specifiche per la preparazione dei piatti, hanno fornito a filologi, storici della lingua e storici del costume, un lessico alimentare e di cucina, che ha consentito di decifrare con certezza parole rimaste a lungo nel limbo della sospensione interpretativa o, tuttalpiù, dedotte nel loro valore semantico per “ragionevole plausibilità”.

Collocato alla segnatura 1071[5] della Biblioteca Riccardiana di Firenze, troviamo un testo vergato a mano nel 1338 su fogli pergamenacei in elegante grafia nera con capolettera rossa, intitolato: Modo di cucinare et fare buone vivande. È considerato, allo stesso tempo, il primo libro di cucina italiano e il primo ricettario della tradizione fiorentina. Anche se alcuni, a vario titolo, hanno proposto o ravvisato degli antecedenti, a nessuno di questi è stata riconosciuta plausibilità per i contenuti dagli esperti di storia della cucina[6]. Purtroppo sono andate perdute le prime 39 pagine o, più propriamente, “fogli”; dunque, il manoscritto comincia dal foglio 40 e termina al foglio 67, elencando 57 ricette in perfetto volgare fiorentino, che identifica senza dubbio alcuno la provenienza dell’autore, rimasto anonimo. Secondo alcuni studiosi, questo manoscritto sarebbe una copia fedelissima, “notarile” (v. dopo) del 1338, di un testo originariamente redatto negli anni venti.

Qui riportiamo in sintesi l’esito dello studio di Simone Pregnolato, autore della prima edizione critica del “Ricettario del manoscritto 1071 della Riccardiana” e di conferenze sull’argomento. Il volgare fiorentino adoperato non sembra integrare termini degli idiomi volgari di altre regioni italiane come nella lingua di Dante, ma soprattutto colpisce l’organizzazione del periodo e il lessico utilizzato. Le frasi sono tutte alla seconda persona singolare e costruite sempre allo stesso modo: si comincia con un “Se vuoi fare”, seguito dal nome della ricetta, e poi c’è l’elenco delle istruzioni per preparare il piatto; i periodi sono semplici e paratattici. Il manoscritto, anche se non è particolarmente elegante, ha una sua piacevole regolarità grafica, che è stata così interpretata dall’esperta di scrittura dei codici Irene Ceccherini: “[Il copista] impiega una scrittura di tradizione corsiva di base notarile. Pur mostrando una buona competenza grafica, a giudicare dall’allineamento, dal rispetto di modulo e proporzioni e dalla regolarità con cui sono tracciati i segni grafici, la scrittura non è formalizzata sul piano dello stile e si caratterizza per una corsività «spontanea»”[7]. Pregnolato conclude: “Una scrittura da notaio”[8].

Ma ciò che più interessa e ci colpisce è nel lessico. A settecento anni di distanza dalla stesura del manoscritto, ancora oggi impieghiamo molti dei vocaboli medievali con lo stesso significato: non c’è un altro ambito della vita privata e quotidiana che possa vantare una simile conservazione di parole: vermicelli, ravioli, tortelli, tortelletti, frittelle, fegatello, mandorlata, migliaccio, porrata, ecc.; anche se si incontrano delle eccezioni, ossia dei nomi con un significato diverso[9]. Nel manoscritto del 1338 la “crostata” era una torta salata e non il dolce ricoperto di confetture di oggi; la “tartara” era una torta a base di formaggio, uova e zucchero, e non l’attuale preparazione di carne cruda tagliata sottilmente.

Un altro aspetto linguistico che incuriosisce è la gran quantità di gallicismi, ossia termini dell’idioma che sarebbe diventato la lingua francese, rimasti poi nella nostra lingua, come “burro” e “brodetto”, e parole che sarebbero state solo lievemente modificate, come “pevere” per “pepe”.

Ci fermiamo qui, per riprendere la prossima settimana dalle ricette del manoscritto.

 

[continua]

 

Notule

BM&L-08 marzo 2025

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[1] Sembra che fosse comune il dono e la vendita, ad esempio, dei semi del tipo di zucca già esistente in Europa (Lagenaria siceraria).

[2] Yvon Tébert, Vita privata e architettura domestica in La Vita Privata dall’Impero Romano all’Anno Mille (Philippe Aries e Georges Duby), p. 278, Edizione CDE, Milano 1986.

[3] Yvon Tébert, Vita privata e architettura domestica, op cit., p. 276.

[4] Come oggi servire aragoste e caviale.

[5] Il numero 1071 è suddiviso in tre sezioni: nella prima vi è una copia della Commedia delle ninfe fiorentine di Giovanni Boccaccio, la seconda è un testo ragionieristico con regole di computo e la terza è il primo ricettario toscano e italiano.

[6] Si veda in Paolo Petroni, La cucina del Trecento: nasce la vera cucina fiorentina, in Il libro della vera cucina fiorentina, p. 16, Giunti, Firenze 2009.

[7] AA.VV., Il più antico ricettario in volgare: un codice del Trecento alla Riccardiana di Firenze. Finestre sull’Arte, 02/09/2022, Firenze.

[8] AA.VV., Il più antico ricettario in volgare: un codice del Trecento alla Riccardiana di Firenze, ivi.

[9] Ma questo non ci meraviglia, se pensiamo che in Italia con lo stesso nome indichiamo preparazioni, piatti o dolci diversi, da una regione all’altra: il ragù al centro-nord si basa su carne macinata e noce moscata, al sud su particolari tagli di carne intera; la “genovese” al nord è il pesto, a Napoli una preparazione a base di cipolle, ecc.